venerdì 2 gennaio 2015

iMiti by Ettore. Canzoni contro la guerra. O’ surdato ‘nnamurato. Anna Magnani.


Anna Magnani è stata una delle attrici che ha solcato il ‘900 con il marchio a fuoco. Per lei bastano due film: Roma città aperta, di Roberto Rossellini, suo mentore e amante che poi tradirà Anna, e La rosa tatuata, film che le valse l’Oscar.
Anna Magnani non incarna solo un’icona di donna, ma incarna un’intera città, Roma e anche tutto il sud.
Di lei il grande Fellini, nel film Roma, disse che era “Il simbolo della città, una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra e buffonesca”. “Potrei continuare fino a domattina”, disse poi il Grande Regista all’Attrice che entra in un palazzo di sera e lei, di rimando disse: “A Federì, vai a dormì va’!” “Ma, posso farti una domanda?” “No, nun me fido, notte!”
'O surdato 'nnammurato è una delle più famose canzoni in lingua napoletana, scritta dal poeta Aniello Califano. Il testo fu scritto dal cittadino Santegidiese e musicato da Enrico Cannio nel 1915. La canzone descrive la tristezza di un soldato che combatte al fronte durante la Prima guerra mondiale, che soffre per la lontananza dalla donna di cui è innamorato.
Delle tante versioni ho descritto e preferito quella cantata dalla Magnani nel film La sciantosa, dove Anna appare vestita da miss Italia, con la corona e il vestito tricolore, decisa a cantare un’altra canzone; ma poi, nel teatro, vista la platea piena di soldati provati moralmente e fisicamente, interpreta il brano del soldato innamorato, con un giovane massimo Ranieri che suona dietro lei.

“Chi canta non si emoziona mai”, può affermare Morgan e, “Solo se sei felice puoi far commuovere”, incalza Benigni, ma qui Anna Magnani, con voce fioca e rotta, piange disperata nel finale struggente. Un ricordo importante della indimenticabile musa Anna Magnani, così umile, così grave. 


martedì 23 dicembre 2014

iMiti by Ettore. Canzoni contro la guerra. Miss Sarajevo, U2 e Pavarotti.

Miss Sarajevo.
Perché hai il respiro così affannato?
Perché te ne stai in un angolo, sola?
Perché parli tanto e non c’è niente da dire?
E ora, perché piangi?
Questo è il preludio, inventato, del brano degli U2 Miss Sarajevo, che dal titolo dice già tutto: non c’è niente di più bello al mondo che una miss e non c’è niente di più orribile al mondo che una guerra fratricida e subumana.
Nel video si vedono persone bellissime, che non ci sono più, come Lady Diana e Luciano Pavarotti, due personaggi leggendari; ma anche le miss candidate a Sarajevo nel ’93 e Dio solo conosce chi di loro è ancora viva.
Bono Vox e The Edge, ovvero la spina dorsale degli U2, una band celeberrima, insieme a Brian Eno e Big Luciano, hanno eseguito questa tragica e bella canzone negli incontri che Pavarotti aveva con le celebrità, i cui proventi andavano in beneficienza ad associazioni benemerite.
Non c’è bisogno che dica le parole del brano: c’è un tempo per gli alberi di Natale, c’è un tempo per diventare miss; e di contro Pavarotti prima parla della vita come fosse un fiume, poi lancinante: “E non so più pregare, e nell’amore non so più sperare, e quell’amore non so più aspettare.”
E la miss che indossa una corona insanguinata come quella di Cristo, barcolla, forse cade, colpita dai cecchini cetnici o da quelli slavi, o da chissà chi, da uomini un tempo persone e ora belve sanguinarie.  Una guerra muta e vicina, che ha colpito al cuore miliardi di persone.
Miss Sarajevo è l'unico singolo estratto dall'album del 1995 Original Soundtracks 1 degli U2 e Brian Eno, sotto lo pseudonimo Passengers. La canzone è anche comparsa nel greatest hits del gruppo, The Best of 1990-2000, ed è stata coverizzata da George  Michael nell'album, Songs from the Last Century, cioè i migliori brani del secolo '900. Il singolo ha raggiunto la posizione numero 6 della classifica dei singoli inglese, ed è stato un enorme successo in molti paesi in Europa.
Ricordate: basta il titolo e vedere una miss si presume bionda che con le altre concorrenti espone un cartello: non uccideteci. La sua corona di spine è uno scarabocchio vitale contro le guerre, che sarà ricordato per altri duemila anni.


mercoledì 17 dicembre 2014

iMiti by Ettore. Canzoni contro la guerra: Rolling Stones Gimme Shelter

iMiti
by Ettore
Canzoni contro la guerra. Gimme Shelter.
Composta da Mick Jagger e Keith Richards, Gimme Shelter, la canzone è un rock in mid-tempo introdotto dalla chitarra ritmica di Richards, seguita dalla parte vocale di Jagger. Circa il periodo nel quale si svolsero le sedute di registrazione per Let It Bleed, Jagger disse in una intervista del 1995 alla rivista Rolling Stone:
...Altro...

U2, Mick Jagger, Fergie and more perform "Gimme Shelter" at the Rock and Roll Hall of Fame 25th...
CARICATO DA ROCK AND ROLL HALL OF FAME + MUSEUM

giovedì 27 novembre 2014

Gli uomini non cambiano


“Gli uomini non cambiano” è il titolo di una canzone dell’indimenticabile Mia Martini, uccisa per la nomea di porta sfortuna, indirizzata sempre verso uomini sbagliati. “Ma perché gli uomini che nascono sono figli delle donne ma non sono come noi”, questo un verso della succitata canzone.
Mi sono recato in un bar di Viserba, domenica mattina. Il locale era pieno, ma fortunatamente ho trovato un tavolo per aspettare la mia donna. A un certo punto un uomo, con moglie e figlio, mi ha detto con protervia: “Ma c’eravamo noi qui”. Io naturalmente gli ho risposto da uomo, dato che non c’era nessuno, anche con un pizzico di cattiveria.
“Avresti dovuto rispondere con ironia”, poi mi dice la mia compagna, tipo ‘alla Littizzetto’: “Già, siamo domenica, c’è la fila alle poste, frenetica”, e l’avrei detto anche al bambino, figlio di quell’energumeno, per fargli capire che la vita non è competizione spinta e sfrenata.
Il caso del latte in polvere, a La Spezia, è emblematico. Dodici pediatri, forse anche di più, guarda caso tutti uomini, sono indagati perché invece del latte materno affibbiavano alle partorienti il latte in polvere, poi quello che volevano loro, perché volevano lucrare, guadagnare nei prodotti. Quindi, uomini che giocano con la vita anche del nascituro, quasi una bestemmia sversata da maschi senza scrupoli.
E poi i tanti casi di femminicidio. Sento dire: “La cosa più bella al mondo è uccidere la moglie”; mi domando il perché di questo odio cieco, di questa violenza. Sono uomini che commettono i più sanguinosi delitti, che sparano, ti accoltellano, fanno sparire il cadavere, guardano film pedo-pornografici, foto hard spintissime. Uno scandalo. Che fatica essere uomini!
Ma la fatica più grande è quella delle madri che partoriscono i figli maschi. Esse sono le prescelte per eseguire un compito quasi impossibile: far vedere al nascituro, uomo del futuro, la vita con gioia, con amore, con naturalezza, rispondere con ironia, portare rispetto alle persone.
Per tornare al brano di Mia Martini l’uomo deve cambiare, non può immolarsi al Dio della rabbia, a un Dio che non c’è; importi cattiveria e inculchi proselitismo ai tuoi simili.
Nella vita che naturalmente porta alla morte, quindi si nasce già con la patente compassionevole, bisognerebbe amare i propri simili, alle prese, come te, con gli amori che finiscono, come finisce prima o poi la stessa vita. Siamo nella medesima nave, non facciamo come Schettino, ma pilotiamola verso un porto sicuro, dopo un viaggio sereno.
Donna che metti al mondo un figlio maschio, impegnati, educalo all’amore, ribalta il trend. A te è toccato tanto peso ma tanto onore ma, sono sicuro, prima o poi porterai a casa i risultati di un mondo cambiato, candido e ingenuo magari, dove il primo comandamento sia il rispetto dei pari genere e soprattutto delle donne, così falcidiate, calpestate e colpite in questo luttuoso terzo millennio che non fa intravvedere nulla di buono, nemmeno ci dà speranza. Ma nella parte finale del testo di Martini una speranza c’è, “gli uomini innamorati come te”. Facciamo e fate, donne partorienti, che i futuri uomini cambino, che siano imperniati di amore sia per se stessi che per il prossimo, un comandamento che non si dovrebbe calpestare mai.



mercoledì 22 ottobre 2014

Notte di luna piena: nasce il bambino.

In giro a Rimini si notano tante donne in gravidanza. Spesso sono trentenni che, anche se qualcuna non ha il lavoro, si prendono il tempo per fare un figlio, e poi si vedrà.
Purtroppo le trentenni di adesso, quasi le nostre figlie, non sono come le nostre madri, donne “trattori” che travolgono e travolgevano tutto e tutti, ma al contrario sono fragili esseri che però hanno in esse il desiderio forte di maternità.
Non c’è nessuna che non abbia problemi durante la gravidanza: macilente, nervose, però poi sanno il compito che avranno nella vita e portano lo stato di donna incinta con fiducia e spensieratezza.
Mettere al mondo un figlio oggi potrebbe sembrare un trauma: il lavoro che manca, i focolari di guerra nel mondo, il terrorismo, ma le donne italiane, da sempre dotte e con l’istinto materno, esaudiscono un bisogno, direi nobilissimo, che è il partorire.
La notte del 7 ottobre l’ospedale infermi di Rimini era battuto dai raggi di una luna piena e si sa, l’arancia enorme aumenta le nascite. Tutte le puerpere uscivano con in loro bimbo in carrozzina, Giada no.
Eppure ha fatto di tutto per prepararsi al meglio per questo evento, tipo corsi di yoga, bagni in piscina, ginnastica prenatale. Ha persino assoldato un’ostetrica naturopata per far nascere il maschietto in piena armonia con la natura e con se stessi.
Ma il figlio di Giada non veniva fuori, lei era nervosa, sbraitava con il marito, la mamma e la nonna, tutto sommato il nervoso pre-parto. L’ostetrica, dal carattere non proprio ineffabile, ha litigato con una dottoressa che, con estrema attenzione, toccava il corpo di Giada per farla partorire naturalmente.
Ma, dopo molti tentativi non andati a buon fine, a un certo punto il ginecologo ha rotto gli indugi e, visto che non si rompevano le acque, ha portato la trentenne in sala operatoria.
Il parto è avvenuto infatti col parto cesareo, e il bambino è bellissimo. La grande preparazione fisica e psicologica è servita per sopportare l’operazione. Le fragili trentenni di oggi, che erano a pari condizione con le ventenni di ieri, perché si sa che ora si figlia sui 30 anni, sono sì stralunate e un po’ sfortunate, ma con il figlio in braccio sembrano pantere pronte a colpire.
Il micio di Giada non mangiava da 7 giorni, aspettava la padroncina che l’aveva tirato su quando era piccolo e malato; ma ora Giada è a casa, la notte di luna piena ha funzionato anche con lei. Nottate dei parenti al suo capezzale sono dimenticate quando il bambino, dopo due giorni di catalessi perché la mamma ha fatto l’anestesia e la puntura epidurale, strilla e orina un po’ in ogni dove, senza ritegno, per il divertimento della giovane nonna, anche lei tigre a suo tempo.
Fate nascere i bambini nelle notti di plenilunio, come i tanti “bilancini” del 7 ottobre, e se mettete da parte i guai tipici della fragilità delle trentenni per il parto che, naturalmente, è sempre un’incognita, gioite con lei e il nuovo nato che con i loro sorrisi fanno sembrare la luna sempre più grande e la crisi sempre più piccola, per fabbricare un futuro migliore.


sabato 6 settembre 2014

Il Califfo e Mimì Bertè

Se solo avessero saputo quanto sono stati amati dal pubblico, se solo avessero visto cos’è successo dopo la fine della vita, non sarebbero stati così in pena, in crisi, soli e reputati dimenticati da loro stessi.
Le loro vite si sono incrociate: Lui ha scritto Minuetto per Lei come fosse un vestito di haute couture, pennellato, fasciato, impreziosito. La storia tramanda che erano in crisi sia Fabrizio che Lauzi sulle parole. Ricorsero al maledetto Califfo che baciò con parole divine una canzone eterna, una delle tante di Mia Martini. Minuetto.
Nella spiaggia prima della bufera, quella che ti entra nei polmoni, composta dai granelli domestici di Rimini, si ascoltano ancora le canzoni di Califano e Martini, cantate magari in sordina ma con la lacrima che ti scende salata sul sale di un mare fosco, ovattato di pre-pioggia.
Lui ha avuto dieci mila donne; a lei un solo uomo (Ivano Fossati) l’ha affossata, distrutta, insieme alla nomea, maligna per un artista, di porta jella.
Hanno avuto momenti terribili; Lui in carcere, Lei sottoterra, crivellata di calunnie. La divina Mia ha dovuto persino dire a un giovane cantautore napoletano, Enzo Gragnianiello: “Enzo, io non canto da tempo, ormai sono fuori dal giro, sono un’ex, non ti sporcare la carriera con me.” Ma Enzo testardo, capace, innamorato della voce di Mia, nell’87, dopo un concerto isolato di Martini, le propone un regalo fantastico: la canzone “Donna”. “... c’è chi la vuole per una notte, c’è chi invece la prende a botte”, un brano struggente che fa lacrimare dalla prima nota e dalla prima parola. Un pezzo che ancora oggi va purtroppo di moda, visto il femminicidio che sta disgregando un’Italia ferita, ma sempre maestosa. Gragnaniello rimase stupito che una voce tanto bella sia stata estromessa dal giro musicale e con “Donna” dona a Mia uno smeraldo puro.
Poco tempo dopo Enzo, sulle ali del successo, compone un pezzo cantato in napoletano, ma qui non contano tanto le parole, peraltro bellissime, quanto la musica e l’exploit di due giganti della musica italiana, appunto Mia Martini e Roberto Murolo. “Cu’mme!” scala le classifiche ma soprattutto i cuori degli ascoltatori, appassionati.
Quando l’ascoltate tra le dune immaginarie e i gelati profumati di pistacchio, insieme agli ultimi fuochi di un’estate rovente ma piovosa, per un attimo pensate a Mimì Bertè, rimasta muta per un intero anno per il dolore che Ivano Fossati le ha arrecato, scomparsa malgrado il grande talento, e a Franco Califano: la sua “Un’estate fa” attira ancora adesso giovani e meno giovani. La cantarono gli Homo Sapiens, Mina, lui stesso e i Delta V, un giovane gruppo, insomma si ode tra il mare in decomposizione, squilli di guerra e violenze di ogni genere, come gli ombrelli che compri che si rompono tutti o sono già rotti al momento dell’acquisto, e poi finisce che li prendi dal solito extra comunitario.
Brillate ancora pazzi diamanti negli I-pod, che quando cantavate e cavalcavate la vita davvero non ci credevate del tutto. Oppure era sminuito il vostro grande talento che, almeno quello, non morirà mai, tramite le canzoni, la voce e il vostro allure di sacri maledetti che i giovani di questa generazione per sempre ameranno.


mercoledì 13 agosto 2014

San Giuliano Mare, Rimini.

Appartenere a un mondo a parte è una vertigine che t’inebria.
San Giuliano non è un continuum con la magna Rimini, è uno zig zag incontrollabile, un punto interrogativo spigoloso tra l’uguale di altre città.
Rivabella, Marebello Bellariva, Rivazzurra. Nossignori, nella Rimini dei mangiapreti esiste San Giuliano, sia Borgo, sia Mare, sia nel mezzo. La triade, un po’ come La Divina Commedia, un po’ come le Sacre Scritture. Come l’Assoluto o l’Ignoto.
Tutto è piano, tutto è simile: dalla Via delle Regine non ti sposti mai. Fin che arrivi a San Giuliano Mare
Ora, con la Darsena, non è più il ripostiglio salvifico per i matti, i lettori o per gli amanti del mare, non più la piccola dogana tra le feroci mura, la Berlino Romagnola. No, è una cosa a sé, un bijoux incastonato nell’Inferno senza curve. Il Paradiso per pochi o per tanti. Per tutti.
Per gli amanti della nicchia è un posto perfino commovente: i nuovi ristoranti, con personale e proprietari giovani, i vari bar e le gelaterie, anche i vecchi esercizi, con responsabili che si tramandano le consegne da almeno tre generazioni. La signora dei vestiti, bionda e agghindata come se fosse a un matrimonio o in una discoteca di cui ancora non si sente olezzo, ma c’era un tempo, è la nipote della Cesira, della Mirca. E ha figli che si chiamano non più Loris e Mirko, ma Maicol e Manuel. Il nuovo che avanza. Tra la gelateria nella parte sinistra e l’ultimo bar a destra, è passata tutta Rimini, l’Europa, il Mondo. E in mezzo c’è il futuro. Le nuove Linde (ricordate il nome più in voga tanti anni fa? Linda?) vestite con maglietta rosa, seno prosperoso e infradito rosa, che aspettano ragazzi che sembrano musulmani, con barba e capelli incolti e camicie bianche o fluorescenti. Ma dal fisico e dalla parlata veloce, con la esse strascicata, intuisci che sei a casa.
Gli anziani sostano nella ormai storica, mitica Piazzetta della Balena, e poco più in là, uno stuolo di ragazze etniche celebrano le danze, il cibo e la musica e - perché no? – anche un archetipo di una sensualità vicina e piacevole.
Poi, se vai nella passerella del mare, ma in effetti erano tanti anni fa, con la calabrese riccioluta che voleva la novità e voleva te, incontri gente variopinta, ristoranti rinomati e targhettati, bar di lusso, baretti, negozietti che vendono di tutto, sale giochi. Non sei a Rimini dove tutto è caos, o a Riccione, ma sei nella terza città della Romagna Nuova, a San Giuliano Mare.
La Darsena, che profuma di mare, dove la vista s’infrange ma si allarga con la Ruota di Rimini che spicca maestosa, i mercatini e la sabbia che entra nei polmoni, offre ogni sera spettacoli sempre attuali, e qualcuno ancora vede, oltre alle sagome familiari di - che so? – Gnassi e Vitali, i vecchi che hanno dato tanto per dipingerla così bella, i vari Bartolani, De Nittis eccetera.
C’è di tutto in pochi metri, l’amarcord e il futuro. Sta a voi coglierlo e assaporarlo. Piano piano, senza fretta, con calma. L’ostrica si gusta con pacatezza, sentendo con la lingua se sussiste la perla, nel mezzo, intonsa. Com’è San Giuliano Mare.