Eravamo
11, come una squadra di calcio, nel Palazzetto freddo di Imola, città famosa
per le donne, la Ferrari, il circuito, il cibo e il manicomio. Dovevo
incontrarmi con la mia ex, il primo amore, per capire cos’era successo tra noi.
Aspettavamo di ascoltare il concerto di Jorma Kaukonen, l’ex chitarrista di
Jefferson Airplane e degli Hot Tuna, un asso dello strumento. La sera era umida
e fredda. Non ricordo tanto, ma parlavamo della fine degli anni Settanta e del
mio idolo calcistico di allora, Claudio Sala, del grande Torino dello scudetto
del ‘76. Il poeta del goal. Io ero un po’ come lui, restio alle direttive
dell’allenatore, fantasioso, funambolico e testa calda. Tanto giovane, questo
sì, ma con addosso già le zampate della vita. Nadia, l’ex, aveva raggiunto noi
10 amici, e quando la guardai per mezzora non parlai con nessuno, muto e
assente.
Ho
rivisto Claudio Sala in tv sabato mattina, imborghesito, tronfio degli ex
successi, in pensione, innamorato del tennis e della moglie napoletana come Maria:
penso sia questo ora l’unico punto in comune con lui, la compagna partenopea. Non
ne ricordo altri. Claudio Sala era immenso da giocatore, i suoi dribbling
stretti e secchi, la velocità, la visione di gioco, i cross millimetrici per i
colpi di testa di Paolino Pulici e di Ciccio Graziani, gli assi del Toro di
Gigi Radice, l’allenatore dello scudetto. E ora, nel 2011, eccolo là Sala che
ti sorride dalla tv, allegro, con i consueti baffi, innamorato e in quella
villa immensa come la sua classe di un tempo. Un po’ l’ho invidiato, dico la
verità, ma è stato solo un attimo. Con il senno di poi posso affermare che
siamo diversi, e sono arcicontento della differenza che ho nei suoi confronti:
lui persona arrivata, io che mi arrabatto ancora nei ciottoli dell’esistenza.
Non pensavo finisse lì, con i baffi ridanciani, gigione e sportivo, a farsi
ammirare dalla platea televisiva; credevo invece, perlomeno ritenevo visto i
suoi trascorsi da stravagante, che fosse ancora incazzato o, alla peggiore
delle ipotesi, morto, sconfitto dal consueto e monotono trantran, o vagante nella
vita notturna in ferrovia che dribblava i malinconici come lui, quelli che non
vogliono l’estremo allenatore che t’impartisce gli ordini dall’alto.
Vuoi
sapere, mio grande ricordo Claudio, che fine hanno fatto gli 11 adolescenti di
allora? Nove sono morti, ero, coca, pasticche e suicidi. È rimasta solo Nadia,
che mi dicono faccia il giro degli specialisti psichiatri nella maledetta e
glaciale Modena, ed io, che ancora mi divincolo e scarto i paletti che mi
frappone il mondo.
Jorma
ha fatto un gran concerto, il rumore dei bassi era forse troppo alto. Forse per
questo ronzio continuo scartai la mano di Nadia che mi passava la maria, che
non avrei mai fumato neanche in futuro. Ed è questa, mi dimenticavo e suppongo,
la sola e unica cosa che condivido con Sala adesso. Ah no, ce n’è un’altra più
allegra ma unica: siamo sopravvissuti. Ciao grande mito Claudio Sala e stammi
bene.
Ti ho letto col sottofondo dei Procul e Shadow of pane, lo sapevi che si sono ispirati a Bach, che io amo tantissimo, l' orgnano in sottofondo e il tuo scritto così vero anche se forse non lo è mi hanno fatto accapponare la pelle...è l' eco dei ricordi e di quello che poteva essere e non è stato.
RispondiEliminaCiao.
In effetti non è andata proprio così, ma nella mia mente invece sì. Qualcuno ci ha lasciato, la mia ex, primo amore, non la vidi più, e il concerto chi l'ha visto? Non era proprio il mio genere... correva l'anno 1980, gli albori della new age. Ciao Paola, un caro saluto
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