Il
Barcellona, una delle squadra più titolate del mondo, è uscita nei quarti di
finale della Champions, battuta dall’Atletico Madrid. Il Barcellona rappresenta
qualcosa di fantastico per il suo pubblico catalano, ed è un punto di arrivo
per ogni giocatore del pianeta.
La
generazione pre renziana ha però come mito non i vincitori, ma quelli che
generano le grandi rimonte.
Gli anni
d’oro del grande Real. In realtà il Real Madrid, una ventina d’anni fa, non
vinse quasi niente, eppure le sue incredibili rimonte al Santiago Bernabeu sono
impresse nella storia e nella memoria. Chi non si ricorda di Hugo Sanchez e di
Emilio Butragueno? Perdevano di brutto fuori ma nel proprio campo compivano la
grande rimonta.
Il Milan, per
esempio, ha vinto tutto, e Berlusconi è l’emblema della vittoria, del trionfo.
La generazione di cui parlavo prima, quella che aveva come eroe Ralph Malph di
Happy Days, aveva come miti gli sconfitti, gli sfigati, che però compivano
qualcosa di straordinario
Michael Schumacher è stato un
grande campione, vinceva sempre: ma alla generazione pre renziana è rimasto in
mente e rimarrà per sempre il leggendario duello tra Gilles Villeneuve e Renè Arnoux
durante il gran premio di Francia a Digione nel 1979. Lottavano per il 2° posto,
eppure Gilles Villeneuve era e sarà un mito.
Nelle
moto forse poche persone o nessuno si ricorderà delle vittorie di Valentino
Rossi, ma rimane impresso lo spettacolare passaggio
fuoripista con cui sorpassò Casey Stoner durante la storica gara del 2008 a
Laguna Seca, nella mitica curva “cieca” del cavatappi.
Nel ciclismo Lance Armstrong ha vinto sette Tour de France: ma ditemi chi
non si rammenta del plateale “togli bandana” del Pirata Pantani, che presagiva
una ruggente salita nei Pirenei o nelle Alpi, luoghi di muse e dei.
La generazione pre renziana, quindi, non voleva vincere, ma partecipare
alla rimonta. Eroi di quegli anni erano Aldo Moro, Enrico Berlinguer, uomini
che sapevano della futura sconfitta, eppure andavano avanti, portavano in alto
le loro granitiche idee.
Il Mito è un’idea, concepita per cambiare il mondo, è uno squarcio di
luce abbagliante nel grigiore monocorde della nostra vita. La vera forza sta
nelle idee, non nel risultato finale.
Nelle cooperative o in qualsiasi posto di lavoro, c’è gente che vuole
arrivare in alto, emergere: invece il sorriso di Giulia in carrozzina, che fa
fatica ma tira avanti, ti giunge al cuore solare e te lo sbrega.
Il proprio padre non sarà ricordato per le innumerevoli vittorie di vita
o carriera conseguite, ma quando intimidito si sceglieva l’auto con il figlio,
quando aveva lo sguardo assente al ristorante Squadrani, ma forse ti guardava
mentre ballavi con la morosa. Il mito è quando portava il catetere con la barba
lunga che lo faceva sembrava Gesù.
Il Mito è un gesto eccezionale che scaturisce da persone eccezionali, ma
non per questo vincenti.
Noi rimaniamo della generazione pre renziana, silenti ma assertivi, e
aspettiamo la muta resurrezione o il gesto che disgregherà la grigia routine o
colorerà questa vita già così meravigliosa.
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