Mercoledì 19 febbraio,
in un sito di arte contemporanea a Bari, la donna delle pulizie ha gettato
quattro opere nel bidone della spazzatura, con relativi oggettini: biscotti
artistici e quant’altro e ha commesso un danno di 10.000 euro.
Littizzetto,
copresentatrice del Festival di Sanremo, in un monologo nella serata di
giovedì, ha asserito che il concetto di normalità è una tara del mondo moderno,
che non è solo il seno enorme che fa parte del concetto di bellezza, ma anche
una donna senza un braccio può servire alla causa. Sia di ausilio ai bambini
eccetera.
Tutto ciò ha
stemperato, almeno in parte, la mia delusione. Sempre mercoledì 19 febbraio i
miei ed io abbiamo optato per una messa in ricordo dei 4 anni della scomparsa
di mio padre. Dopo il rosario, la messa inizia, ma il prete ha notevoli difetti
di parola. Come si muove all’altare noto subito che può essere stato colpito o
da lieve sindrome di down, oppure da ischemia, paralisi, purtroppo qualcosa
aveva. Io, dico la verità, non ho capito una sola parola di quello che ha detto
il prete, solo “pace”, il che è già tanto. Mi sono sentito preso in giro.
L’aiuto prete della Chiesa del Borgo non parla bene, anzi malissimo, e gli fai
dirigere una messa? Non mi prendo l’alto e arduo compito di giudicare, ma io e
i miei parenti abbiamo capito pochissimo: litigava con le parole, accelerava,
partendo piano, e velocizzava il tutto, con una specie di replay farsesco.
Pensavo che mio padre si sarebbe divertito, forse, perché il fatto somigliava
alla stessa scena di quel celebre film in cui, durante il trasporto della salma
al cimitero, il porta-salma, un cocchiere che conduce il cavallo e la bara,
ascolta la partita e al goal della sua squadra accelera, spingendo il cavallo
al galoppo e portando il tutto chissà dove.
Si fa presto
a parlare di arte e pietas. Qui abbiamo due esempi di coartazione della realtà,
si vede un pertugio in cui la donna della pulizia e il prete si gettano, senza
apparente motivo, e al tempo stesso rigettano biscotti e messa.
E pensare che
anch’io dovrei ridere di ciò. Sempre il 19 si è festeggiato il trentennale
dell’uscita di Creuza de ma, uno dei
capolavori di Fabrizio De Andrè. Mauro Pagani, ex PFM e collaboratore per 12
anni del mitico Faber, ha pensato bene di rimixare tutto il cd, addirittura
doppio, di farlo accompagnare da un libro scritto da personaggi illustri, di
mettere anche l’opera su vinile. Dissento sul capolavoro. A parte che da
qualche giorno blatero fonemi a caso, in genovese spurio e la musica è qualcosa
sì di unico, ma appunto le parole, cantate in un genovese astruso e arduo, si
direbbe stretto, si fanno fatica a capire. L’italiano resta ancora, nonostante
tutto, una lingua musicale. Direi, a rigor di logica, che sarebbe stato meglio
avesse cantato in inglese. Ma dopo non c’era il pathos, la lingua dei pescatori
del porto, l’odore delle femmine di mare e i sentieri (le creuze) che
s’inerpicano o scendono fino al mare e muoiono là, scomparendo. Come le opere
d’arte e i biscotti. Però, quando il prete impartiva la messa (però ci metto il
forse, magari declamava una partita di calcio in diretta e nessuno se ne è
accorto) secondo me parlava genovese, buttava via i famigerati biscotti
artistici e prendeva il posto, anche se non c’è più vocazione quindi gli uomini-preti
sono contati, di un ragazzo normodotato, meno compassionevole e ben voluto,
però più chiaro nell’esporre. Quindi il toccante discorso della celebre comica
Littizzetto mi ha colpito, ma fino a un certo punto: ad ognuno il suo mestiere.
Ancora non siamo pronti a ciò che lei auspicava nella serata di giovedì del
Festival.
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