“Quando un
uomo con la racchetta incontra un uomo col fucile, quello con la racchetta è
un uomo morto”. Rubando la
celeberrima battuta al celebre Gian Maria Volonté nel film cult di Sergio
Leone, “Per un pugno di dollari”, con uno sconosciuto Clint Eastwood come
protagonista. L’uomo con il fucile è Roger Federer, uno dei più grandi sportivi
di tutti i tempi, chiamarlo tennista è riduttivo.
US Open 2013, Federer dice:
“Contro Robredo mi sono sconfitto da solo”. Come può un predestinato come lo
svizzero, perdere contro uno dei tanti, che ha sempre stracciato? Negli US Open
poi, il più importante dei tornei del grande slam?
“Roger Federer come esperienza religiosa” di David Foster Wallace,
morto suicida, altro fuoriclasse ma nel campo dei saggisti contemporanei, narra
di un tennista toccato da Dio, esperienza metafisica che si espleta in un gesto
catartico e micidiale. Solo chi ha visto Federer sa cosa vuol dire giocare a
tennis e avvicinarsi al Tutto. Anche Dante, siamo sicuri, paragonerebbe Roger a
Dio. Il gesto armonico da dentro che fa scaturire una stilettata mistica. Eppure
c’è qualcosa in Federer che fa paura, disorienta.
Andrè Agassi, iniziato al
tennis da un padre megalomane e mezzo fallito, non ha niente a che vedere con
il campione di Basilea. Agassi, costruito, malato, un impiegato del tennis, ha
raccontato la sua vita in Open, un
libro avvincente aiutato da un premio Pulitzer, e ha detto di aver visto in
Federer un super campione, un prodigio.
Agassi sì è diverso dallo
svizzero ma, come Lui, ha sposato un’ex tennista e ha vinto tutti i tornei
dello slam. Dopo il tennis c’è la vita, calma, forse piatta e monotona, ma a
lui piace così .
Federer invece, dietro la
sua fascia per capelli, il naso importante, la maglia rossa e i suoi tocchi da
biliardo, vuole assomigliare a Dio, grande peso sulle spalle: infatti Egli non
può perdere. Però è dannato, è morto dentro quando esce sconfitto dal magico campo
rettangolare ed è lì che allora si sente come gli altri.
“Roger è un cavallo
bianco che non suda”, direbbe di lui Celentano, oppure è la nebbia che
impaurisce l’omino di Amarcord di
Fellini. Ecco, Federer è una nebbia profumata, giochi contro di lui ma subisci
il suo fascino. Che non è vizioso come quello scaturito da David Beckham, ma è
scevro da ogni peccato. Solo quella rabbia sorda che lo impadronisce le poche
volte che perde e che lo fa sembrare umano. Non può essere un religioso, non è
ansioso come lo era don Benzi, o calmo come il grande ciclista devoto Bartali,
assomiglia piuttosto a Coppi, ieratico, collerico, a volte triste. Dentro. Ma
nel tennis tutto è spettacolarizzato e i gesti di Federer sono imperdibili e altrettanto
preziosi perché inimitabili.
Con il suo “fucile” ha
sparato in testa a un suo avversario a Wimbledon, segno di una nevrosi che
lacera i cantanti di solito a 27 anni. Federer, dunque, finirà la sua vita come
il suo mentore Foster, bruciando tutto? Non è il nostro Dio ma quello dei
greci? Che ci sono sempre, anche se sono stati prelevati da giovani dalla Terra?
Una sconfitta ci può stare, ma Roger non l’accetta e si martoria. Quando tutto
è troppo bello, troppo grande, finisci che ti abitui e giochi come in trance
sapendo o illudendoti che sarà così per sempre.
E dopo cosa farà, si
chiedono i fan? Guarderà in faccia il suo declino, diventerà padre di nuovo,
invecchierà, bacerà le nipotine o s’innalzerà su di noi a rischiararci la via?
La sconfitta contro il
carneade Tommy Robredo negli ottavi di US Open ha acceso la miccia sulla fine
della leggendaria carriera di Roger. Eppure aspettiamo tutti ancora il suo
rovescio lungo linea, le sue smorzate, i tocchi vellutati sotto rete, i colpi
laceranti e maestosi di un fiorettista.
Nasce l’8\8\81 e diviene
storia, partorito magico e melodioso, detronizzando una genia di atleti
muscolari e, aiutato dagli Dei, brilla a modo suo, come uno dei più grandi di
sempre, sbeffeggiando gli avversari e il corso del tempo, paragonato al terzo
tempo di Michael Jordan o all’uppercut potente della libellula possente Muhammad
Alì.
È forse morto, dopo
quell’incontro negli Stati Uniti, nell’US Open che tanto ha amato, in quel
torneo così importante, ma ora si aspetta già la sua resurrezione.
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