Essendo
interessato e spinto quasi con brutalità nel periodo del “dopo processo” di
Avetrana, ho dovuto assistere a un’intervista andata in onda su “Domenica
live”, il contenitore pomeridiano di Canale 5, condotto impeccabilmente dalla
veterana Barbara D’Urso. La “faccetta” di Barbara ha intervistato, via cavo, i
genitori della vittima, Concetta e Giacomo. E venivano mandate in onda, preregistrate,
le parole di zio Michele. Ho notato una marcata supremazia sociale delle donne
del sud, tanto evidente che mi ha fatto pensare. Giacomo balbettava, perso nei
suoi pensieri e inerme, Concetta aveva lo sguardo calmo che precede e segue una
giusta sentenza. S’inalberava soltanto quando Giacomo usciva dai binari
blaterando frasi senza apparente senso, e lo faceva spesso. Le donne (penso
anche a Cosima) sono la parte razionale della famiglia; gli uomini penosi
coacervi di mitezza ridicola ma apprezzata. E fantasiosi a volte. L’uomo di
Avetrana (archetipo di un’Italia nuova) è tutto cuore, non si esprime correttamente,
verbalmente, e allora supplisce inventando. Lui recita, irrazionale,
convincente e fresco come un attor giovane. La donna si avvinghia all’uomo,
portatore dapprima di denaro attraverso il lavoro, e lo assorbe teneramente
(qui c’è anche il cuore) fino a diventare il cardine del minimo gruppo. Il
matriarcato esplode in tutta la sua chiarezza. La donna “assume” il comando
della casa, pur tuttavia lavorando e impegnandosi in mille compiti, mentre
l’uomo si consuma, anche fisicamente e, a lungo termine, diviene il perno
debole del minimo gruppo sociale. “L’uomo” (mai questo vocabolo fu così
sentito) diventa il cuore pulsante del mondo, s’immola alla compagna e per la
famiglia, è tenero, sensibile, fragile. Se riuscisse a sopportare le tensioni
emotive che possono deflagrare in accecanti momenti di violenza, contro sé e
gli altri (ma questa è forse materia psicanalitica) assurgerebbe a un nuovo
ruolo cardine. Essendo scientificamente testato da studiosi che possiede un
arco vitale più breve rispetto alla donna, non è, come in passato, invincibile
e inscalfibile, bensì diventa il fulcro del sentimento. Talvolta si aggrappa
alla moglie, prega che lei viva più di lui, piange a volte, si lancia anima e
corpo con un trasporto che cancella la prudenza alla compagna. E così manifesta
la sua debolezza. Ecco perché, in una teoria flebile ma sempre più autorevole,
l’uomo è apprezzato anche in età anziana. I pochi che ancora resistono al
setaccio delle pulsioni, dei sentimenti, alle ingiurie del “rapido” consumo, e
che hanno superato scogli e sentieri impervi, esaltano, fanno sognare,
stupiscono. Il maschio adulto-anziano al comando di qualcosa può divenire
rarità, ma è il cuore che vince (come diceva un antico marchio di pubblicità).
Papa Francesco, anche Napolitano, assurgono in sé la debolezza, la limpidezza
del cuore, i principi raschiati dalla tenerezza, come una pietra grezza trovata
da un ricercatore d’oro, perciò rara e preziosa. L’uomo e Cristo, in fondo,
sono la stessa cosa; sfrondati da razionalità muliebri e movimenti psichici, si
accingono al governo dell’organo vitale più importante e datato. La donna ha
preso piede e aumenterà il suo predominio nel mondo e nella società,
giustamente, ma i fragili maschi si affratelleranno (lo spero) sempre di più al
candore dei bambini e, osservati malleabili, si aggireranno per il mondo
issando sul podio la tenerezza e il candore che, per il loro sesso e genere,
sembravano e sembrano perduti per sempre.
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