“Criminali onesti”, questo è l’ossimoro
che caratterizza il film “Educazione siberiana” di Gabriele Salvatores.
Durante il periodo dittatoriale di
Stalin, una pagina nera della storia moderna, abitanti di Regioni russe furono
deportati in diversi Stati. Uno di questi è la Transnistria, oggi Moldova, in
cui furono abbandonate intere comunità di popoli russi, in particolare gli Urka
Siberiani, i più poveri ma anche i più pericolosi. Nel ghetto nella Russia del
sud vissero, a metà degli anni ottanta, quindi prima della distruzione del
Muro, Kolima e Gagarin, due amici di un gruppo di quattro, che seguendo
“l’educazione” impartita loro dal nonno di Kolima Kuzja (John Malkovich accattivante e
imponente) cercano di vivere la loro vita, pur privi del padre e della natia
Patria.
I siberiani hanno regole ferree: niente consumo e spaccio di
droga, no omosessualità in carcere, niente soldi tenuti in casa e sporchi,
uccidere al limite solo gli sbirri, azioni di giustizia eccetera. Kolima,
educato dal nonno, e Gagarin, un ragazzino ribelle, crescono tra scippi e
desolazione. Vivono la bella età solo in una giostra tra la neve, abbagliata
dal sole, in cui si ascolta musica dell’Ovest, di Bowie e risate di ragazzi.
Un brutto giorno il quartetto viene scisso dalla deportazione di
Gagarin in carcere, preso in castagna durante una rapina, sette lunghi anni che
cambiano il modo di pensare del giovane biondino, che assomiglia a Cristo.
Riunitisi quando non sono più bambini e dopo la caduta del Muro, s’intuisce che
Gagarin non è più lo stesso. Non sottostà alle regole, è egoista e non pensa
agli altri, vuole soldi facili, è senza patria e senza Dio.
A un certo punto s’inserisce nel quartetto una ragazza
disturbata, Xenya, che attira Kolima per le sue stravaganze e il suo candore ed
è definita dal ragazzo una creatura voluta da Dio, derisa prima e poi amata
anche dagli altri ragazzi.
Il nonno Kuzja ha nella soffitta una moltitudine di colombe
bianche, e ogni tanto fa volare via la femmina, seguita dal maschio. Uno
spettacolo unico della natura. Le colombe sono i siberiani che possono
finalmente volare sciolti, oltre il dispotismo del sanguinario Stalin, verso la
libertà.
Xenya un giorno tenterà anch’essa di volare, ma fu presa al volo
dall’invaghito Kolima.
Il nonno Kuzja è tatuato in ogni parte del corpo, così come gli
altri siberiani anziani, e il tatuaggio non è consumistico o sexy come oggi la
farfalla di Belen, ma attraverso la perizia del tatuatore, il tatuaggio “narra”
la tua vita. Kolima scoprirà l’arte del tattoo, che attuerà in carcere.
Un brutto giorno la piccola comunità di Fiume rosso è messa in
pericolo dallo straripamento del fiume. Kuzja impartisce ai quattro ragazzi il
consiglio di aiutare la popolazione, ma Gagarin, intollerante, volle approfittare
per rimediare gli oggetti che il fiume porta con sé per ricavare denaro nella
rivendita. Trovarono anche un pianoforte ma per lo sforzo e l’acqua alta, il
più piccolo dei quattro morì. Lì finì l’adolescenza dei quattro ragazzi, mentre,
in una scena struggente, Xenya suona il pianoforte, completamente bagnato e
adagiato in un albero fradicio nel mezzo del fiume, con una perizia infinita. Note
dolci d’epilogo di giovinezza.
La picca, un coltello particolare che Kuzja diede a Kolima,
diviene protagonista della caccia che il giovane “educato” muove alla ricerca
dell’indisciplinato Gagarin, sangue contro sangue, che si definisce ormai un
criminale che non crede più a niente, tra l’altro colpevole di un atto efferato
che non appartiene all’Educazione siberiana, per questo punibile con la morte.
Kolima trascorre anni, con pazienza, per portare a termine il “proprio” compito.
Nel film c’è una citazione a
Zanna bianca, opera di Jack London, e la narra Malkovich ai ragazzi orfani
di padre: un lupo non volle sottostare alla legge del capobranco e si avvicinò
all’uomo. Quando, anni dopo, lo stesso uomo sparò al capobranco, il lupo lo
riconobbe. L’animale morente disse al lupo reietto che ora non era più né un
lupo né un uomo, ma un servo. Aveva perso la sua identità e dignità, come
Gagarin, ormai attratto dai soldi, dalla coca e dalle donne del Seme nero,
razza odiata dai puri siberiani.
Kuzya un giorno libera tutte le colombe perché decide di tornare
in Siberia, la terra della pace, a morire.
Tra citazioni bibliografiche e ossessioni registiche salvifiche, Educazione
siberiana è tratto dal primo romanzo dello scrittore russo Nicolai
Lilin, pubblicato nel 2009 e la caccia a Gagarin di Kolima, implacabile ed
ostinata, è simile a quella che il folle capitano Achab (dal libro di Melville)
muove verso Moby Dick, il film si dipana in modo epico e ricorda da vicino
pellicole descrittrici di gioventù e amicizie malate, rose dal tempo, come C’era una volta in America di Sergio Leone,
Mistyc River di Clint Eastwood e lo spietato The Sleepers, per la regia di Barry Levinson, con Brad Pitt e un
crudele Kevin Bacon.
Salvatores
punta alto, dove la narrazione italiana non può arrivare. L’italica patria non
offre ora spunti degni di nota alla settima arte, e i registi già affermati sono
cervelli in fuga verso nuove terre e storie. Anche gli attori sono stati scelti
tra giovani russi, “tenuti a guinzaglio” benevolmente dall’incommensurabile e
fascinoso John Malkovich.
Salvatores
ha fatto centro ancora una volta con Educazione
siberiana.
Bella descrizione ma il film mi pare molto triste e io non ne posso più di
RispondiEliminaCiao Ettore
Beh Paola, è triste come tutti i film di gente ...sradicata. Alla fine, anzi anche all'inizio, cioè già giovani, si è già...grandi. Kolima se ne va per la sua strada dopo aver saldato il suo debito di sangue con il fratello...Gagarin. Alla fine si muore, come sempre. :-)
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