Sabato mattina di ottobre,
c’è ancora un po’ di sole e caldo. Decisi di recarmi a Torre Pedrera, al solito
bar. Dove delle volte non pago neanche, mi dimentico. Sto fermo lì nei pressi
della cassa, le due bariste sono talmente giovani e carine che mi scordo di
tutto. Anche del perché sono venuto fino qui, dato che la dietista mi ha
vietato l’unico mio sfizio, il caffè. Passeggiai da solo nella spiaggia verso
la magna Viserba, scavalcando Viserbella, patria dell’unica pista ciclabile
della zona. Non sono felice ma almeno faccio movimento, mi dissi, e vedo il
mare pulito che emette un gridolino a contatto con gli scogli.
Al pomeriggio il cielo
minacciava velatamente pioggia, ma uscii in bici con gli occhiali da sole. Arrivato
a Riccione, nella pedalabile più bella della Romagna, scorsi Davide,
l’intellettuale capelluto, con suo figlio Sami. Tutti e due in bici. Lui vestito
con i soliti colori tenui, il figlio indossava una maglia giallorossa, tant’è
che pensai fosse tifoso di Totti. “Oh, ciao, sono andato con Sami al Marano a
vedere le oche”. “Capperi, l’Anticristo”, rimuginai. Io smisi la vita di
bambino quando mio padre non mi accompagnò più agli aeroplanini del luna park e
lui a 30 anni porta il sangue suo a divertirsi, l’unica persona che può
plasmare e difendere, sollevare e guidare. Proteggere. Cavolo Davide, non puoi
farmi questo. Che delusione la normalità (sarà forse invidia?).
E mentre pedalavo
ardimentoso verso Cattolica, quando il cielo nero formò una cappa di infelicità
nei miei occhi, tutto buio, mi venne l’idea luminosa per sconfiggere l’ex
Preside e, perché no, suo figlio: guardare il film “La meglio gioventù”. Un
happening di Marco Tullio Giordana, un film che dura sette ore e narra le
vicende di membri di una famiglia in quasi 40 anni di storia italiana. Ho
iniziato a guardarlo alle 19 e ho finito alle tre di notte. Un capolavoro di
rivincita verso Davide, una saga che si dipana maestosa, per una fauna
attoriale da paura, uno sfoggio di bravura intenso, che a volte assomiglia al
canto dell’oca mentre muore. Adriana (Adriana Asti) ha perso il figlio Matteo
(Alessio Boni) suicida, e c’è una scena che non dimenticherò mai. Lei è una
professoressa, esercita fino a tarda età, ama i libri (come me e Davide) e i
suoi alunni. Quando muore Matteo, il secondo dei suoi quattro figli, impazzisce
di dolore ed esce di senno. Dapprima vuole i libri preziosi del figlio, ma sembra
perduta. Poi, in una scena straziante, li getta via, li strapazza, ha il viso
contratto, è disperata, piange, i figli Nicola e Francesca la reggono, lei
getta via le cose più importanti della esistenza, cioè i libri e forse la vita.
La scena, agghiacciante, sembra uno slow motion, non finisce mai. Ti tortura, e
scandisce l’una nella mia sala, dove troneggiano la Tv e la compagna al mio fianco.
Il cast femminile (Adriana Asti, Sonia Bergamasco, Maya Sansa e Jasmine
Trinca) che si è aggiudicato per intero il Nastro d’Argento come migliori attrici protagoniste femminili,
fa invidia a tutte le pellicole di oggi.
Sonia Bergamasco recita nei panni della donna di
Nicola (un Lo Cascio ispirato), incarna un “angelo del fango” dell’alluvione di
Firenze diventata in seguito terrorista. Una parte di platino.
Maya Sansa è la donna di
Matteo per una notte, porta in grembo il figlio del Poliziotto, un Boni qui in
una parte fantastica di un borderline di personalità. Sempre agitato, si
suiciderà gettandosi da un balcone a Capodanno. Sorride maestosamente Maya,
sempre, e finirà a fare compagnia a Nicola, il predestinato, fratello di Matteo,
negli ultimi anni della sua vita. Sorriderà ancora per Nicola, ormai canuto ma
con lo spirito giovane. Infatti siamo nel 2000.
Jasmine Trinca, dotata di una
bellezza sfolgorante, fa la parte di una matta, recuperata dallo psichiatra
Nicola. Fu lei a cambiare la vita ai due fratelli, interrompendo un viaggio da
sempre sognato. Da notare che tutte le donne hanno a che fare con l’arte:
Fotografia, Piano, Insegnamento, Pazzia (che in fondo è l’arte dell’insensato
vivere).
Ho superato me stesso e
Davide. “Va con le tue oche, io ho negli occhi il viso di nevrotica della
bionda, mora, bianca Sonia Bergamasco, che mai più scorderò”.
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