La
leggenda di ieri nei ricordi di oggi
Erano consapevoli che stavano scrivendo
la storia. Lui bello e misterioso come un polinesiano, lei con una crocchia
infinita di capelli, folle e sensuale. Un duetto a Teatro 10-40 anni fa. Le
canzoni di Lucio Battisti, il più grande compositore italiano del centennio
trascorso. Le voci, quella straziata e malinconica di Lucio, e l’esplosione
irrazionale di Mina Mazzini, la più grande cantante italiana del ‘900. Un incontro
magico, rabbie che si intersecano, e non possono che diventare amore. Solo una
persona arrivata può portare serenità e la elargisce al pubblico. Battisti non
era ancora lo sprezzante baffuto, appena appena un po’ timido ma sicuro di sé.
Mina padrona del corpo, una figura statuaria, con labbra tumide e ciglia appena
disegnate. Cinque strumentisti “amici arrivati da Milano” dice Lucio, in realtà
i migliori musicisti nella piazza. Nel 1972 si scrive la leggenda della
“coppia” per antonomasia, si eclissarono insieme, dopo loro nessuno. Lui
foulard e giacca, capelli crespi, lei alta, irraggiungibile, inarrivabile. Gli
“oh” inimitabili di Lucio, i mugolii, la cattiveria, il blues. Lei la “u” messa
dappertutto, come un simbolo di Cagliostro, “rousa roussa” e la bocca che si
dispiega, si dilata in note celestiali. Solo orpelli le cantanti di oggi.
L’estro, il genio, la consapevolezza: “Io sono Dio”, avrà pensato Lucio almeno
una volta nella sua vita. L’immaginario di Battisti, stava con te ma pensava a
Lei, stava con Lei ma lei era già prenotata, stava seduto nel caffè ma non ti
pensava, stava con te ma non ti capiva, stava con te ma eri solo attrice di
ieri. Mina (la sua unica Donna), come solo forse la Pausini ora icona gay,
maitresse, entreneuse ma solo per
gioco. Dea. Solamente una volta nel cammino puoi incontrare simili personaggi,
e poi sfuggono, spariscono come comete, quasi ti scordi com’erano. Come, se
volete, il fioraio che ha visto Sarah Scazzi che veniva portata nella macchina,
oppure Dante che vide Dio. Non si può descrivere il più grande, l’immortalità
dei bambini, il sorriso di una mamma, il vomito del padre che se ne va. Le
montagne di Wojtyla, lo sparo, la terra che trema dopo un terremoto. A volte
vedere gli immensi è propedeutico alla salvezza, è panacea alla morte, è
assaporare la vita eterna. Non c’è casa che non abbia un ricordo, che non abbia
intravisto un caro defunto, che non trasmetta il singulto di un neonato. You
tube, il PC, lo Smartphone, l’iPad, ti inondano di canzoni, di nuovi idioti, di
vecchi che se ne vanno, ma la memoria, una volta ristabilita la priorità, ti
annaffia di Lucio e Mina, di vecchi mancati, di bambini eterni. Vivi una
Favola, non quella di Vasco che un po’ suonato rincorre la spocchia, ma ti
avvicini all’immenso mangiando la terra, come Bernadette o la protagonista di Cent’anni di solitudine di Garcia
Marquez. Allora non ti basta aver
vissuto tanto, rincorso per molto tempo il nulla, raggiunta la pace dei sensi,
mangiare, bere, dormire, camminare e lavorare, ma dopo le prime note piangi,
escono lacrime di gioia, di nostalgia, di dolore, ma le tue lacrime, perciò
uniche. Mina e Lucio sono come tuo padre che non c’è più ma risplende nel vetro
posteriore dell’auto, nelle cime innevate, nella smorfia di un vecchio o nel sorriso
di un bimbo. Tutto questo è ascoltare i due grandi della musica, Battisti e
Mazzini, famosi come Garibaldi, come Dante, e senza bestemmiare come Dio.
Dormite sereni, ci sarà ininterrottamente una radio che trasmetterà canzoni,
c’è senza fine un domani perché c’è stato e ci sarà un passato o un Per Sempre.
Sono trascorsi 40 anni, sembra ieri, Yesterday.
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