martedì 17 luglio 2012

Mina duetto con Lucio Battisti Teatro 10-40 anni fa



La leggenda di ieri nei ricordi di oggi
Erano consapevoli che stavano scrivendo la storia. Lui bello e misterioso come un polinesiano, lei con una crocchia infinita di capelli, folle e sensuale. Un duetto a Teatro 10-40 anni fa. Le canzoni di Lucio Battisti, il più grande compositore italiano del centennio trascorso. Le voci, quella straziata e malinconica di Lucio, e l’esplosione irrazionale di Mina Mazzini, la più grande cantante italiana del ‘900. Un incontro magico, rabbie che si intersecano, e non possono che diventare amore. Solo una persona arrivata può portare serenità e la elargisce al pubblico. Battisti non era ancora lo sprezzante baffuto, appena appena un po’ timido ma sicuro di sé. Mina padrona del corpo, una figura statuaria, con labbra tumide e ciglia appena disegnate. Cinque strumentisti “amici arrivati da Milano” dice Lucio, in realtà i migliori musicisti nella piazza. Nel 1972 si scrive la leggenda della “coppia” per antonomasia, si eclissarono insieme, dopo loro nessuno. Lui foulard e giacca, capelli crespi, lei alta, irraggiungibile, inarrivabile. Gli “oh” inimitabili di Lucio, i mugolii, la cattiveria, il blues. Lei la “u” messa dappertutto, come un simbolo di Cagliostro, “rousa roussa” e la bocca che si dispiega, si dilata in note celestiali. Solo orpelli le cantanti di oggi. L’estro, il genio, la consapevolezza: “Io sono Dio”, avrà pensato Lucio almeno una volta nella sua vita. L’immaginario di Battisti, stava con te ma pensava a Lei, stava con Lei ma lei era già prenotata, stava seduto nel caffè ma non ti pensava, stava con te ma non ti capiva, stava con te ma eri solo attrice di ieri. Mina (la sua unica Donna), come solo forse la Pausini ora icona gay, maitresse, entreneuse ma solo per gioco. Dea. Solamente una volta nel cammino puoi incontrare simili personaggi, e poi sfuggono, spariscono come comete, quasi ti scordi com’erano. Come, se volete, il fioraio che ha visto Sarah Scazzi che veniva portata nella macchina, oppure Dante che vide Dio. Non si può descrivere il più grande, l’immortalità dei bambini, il sorriso di una mamma, il vomito del padre che se ne va. Le montagne di Wojtyla, lo sparo, la terra che trema dopo un terremoto. A volte vedere gli immensi è propedeutico alla salvezza, è panacea alla morte, è assaporare la vita eterna. Non c’è casa che non abbia un ricordo, che non abbia intravisto un caro defunto, che non trasmetta il singulto di un neonato. You tube, il PC, lo Smartphone, l’iPad, ti inondano di canzoni, di nuovi idioti, di vecchi che se ne vanno, ma la memoria, una volta ristabilita la priorità, ti annaffia di Lucio e Mina, di vecchi mancati, di bambini eterni. Vivi una Favola, non quella di Vasco che un po’ suonato rincorre la spocchia, ma ti avvicini all’immenso mangiando la terra, come Bernadette o la protagonista di Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez. Allora non ti basta aver vissuto tanto, rincorso per molto tempo il nulla, raggiunta la pace dei sensi, mangiare, bere, dormire, camminare e lavorare, ma dopo le prime note piangi, escono lacrime di gioia, di nostalgia, di dolore, ma le tue lacrime, perciò uniche. Mina e Lucio sono come tuo padre che non c’è più ma risplende nel vetro posteriore dell’auto, nelle cime innevate, nella smorfia di un vecchio o nel sorriso di un bimbo. Tutto questo è ascoltare i due grandi della musica, Battisti e Mazzini, famosi come Garibaldi, come Dante, e senza bestemmiare come Dio. Dormite sereni, ci sarà ininterrottamente una radio che trasmetterà canzoni, c’è senza fine un domani perché c’è stato e ci sarà un passato o un Per Sempre. Sono trascorsi 40 anni, sembra ieri, Yesterday.


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