“Nuvolari è il più grande corridore del passato, del presente e del
futuro”. Ferdinand Porsche.
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Nasce
vicino a Mantova, pilota prima di moto e poi di auto, insieme a Fausto Coppi
uno dei miti sportivi dell’Italia del ‘900.
“Nivola” ebbe successo anche in moto, poi
cambiò specialità e passò alle quattro ruote. Un po’ folle quanto coraggioso e
bravo, strappò applausi a tutta la generazione del ventennio. Le sue condizioni
di corsa non erano mai normali. Corse dopo incidenti catastrofici, usò la
furbizia dell’italiano medio per fare cose mirabolanti. Una volta percorse
tanti chilometri senza il volante ma solo con il moncone dello sterzo, come il
cittadino comune che si destreggiava in un’epoca cupa per il bel Paese.
La leggenda narra che in una delle sue corse,
fasciato e appena uscito dall’ospedale, rotto in molte parti del corpo, si fece
legare al volante e guidò tutta la corsa in quelle condizioni. Magro, un fascio
di muscoli, gli occhi biechi e sorridenti, divenne l’emblema dell’Italia
vincente del primo Dopoguerra. Con l’Alfa della Scuderia Ferrari, portò
scompiglio tra gli altri corridori che si dovettero inchinare al suo stile da
militare italiano, quello per intenderci che con in mano la sola baionetta
faceva tremare il nemico. Mitica una sua corsa (partecipò a molte Targa Florio
e Mille Miglia) in cui, tra case umide e il respiro serale degli uomini, spense
i fari dell’Alfa rossa e superò, dopo tanti chilometri al buio, i suoi
malcapitati colleghi. Era celebre per la sua sbandata controllata. Le curve le
affrontava con un secco colpo di sterzo, le ruote slittavano, lui
controsterzava e dava gas. Fu il leggendario Enzo Ferrari che si accorse di ciò,
infatti il Drake, tra le altre cose, fu anche copilota di Tazio. Ferrari
affermò che lo stile di guida era studiato e messo in pratica a proposito da
Nivola e che il mantovano volante ne fu lo stesso inventore. Alla gente bastava
vedere sfrecciare il pilota famoso anche per le sue doti umane, si fermava
contenta a contemplare colui che aiutava gli altri in panne con l’auto, si
infiammava per il suo coraggio leonino e dimenticava per un po’ l’imminente
entrata dell’Italia in una guerra devastante, che fermò anche il pilota per
cinque lunghi anni intrisi di follia. Morì al contrario di come visse, non
rabbioso tra la folla festante, Gastone Brilli-Peri e Alberto Ascari, ma solo,
con le luci spente, proprio come durante le Mille Miglia, quando, tra città
fumose, case cadenti e il vociare stupefatto degli uomini che dovevano andare
in guerra, guatava la strada al buio, con i suoi occhi ridenti di ghiaccio.
Che tipo, questo "Nivola" gesta incredibili da uno che si dice, l'impossibile per me non esiste.
RispondiEliminaCiao Ettore.
Un grande italiano, prima di tutto, lo ha fermato la guerra, se no avrebbe vinto tanto ma tanto di più. Ciao Teo.
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