giovedì 24 giugno 2010

Italia Gemania 4 a 3 "L'estate del '70"

Estate del 1970




Allo stadio Atzeca di Città del Messico anche gli uccelli hanno smesso di volare. Osservano la partita più importante della storia dei mondiali, Italia contro Germania, spaghetti e mandolino contro birra e crauti. Nel secondo supplementare il desaparecido Boninsegna, dell’Inter, che ora mi immagino, chissà perché, faccia la guida turistica nelle alture di Ponte di Legno, scivola vicino all’out sinistro e pennella in corsa un cross al bacio rasoterra per Gianni Rivera. L’abatino, così chiamato dal compianto giornalista Gianni Brera, una penna affilata capitata per caso nello sport, non ci pensa due volte, prende la mira e con un piatto destro fulmina Maier. Rivera, l’uomo geniale, il fantasista, l’assist-man, il numero 10 per eccellenza.

Riva invece firmò il terzo gol con il sinistro, il piede dei toccati da Dio. L’altro gli serve solo per salire sull’autobus, vedasi il grande Maradona e me stesso.

Lavoravo nell’albergo dei miei zii, troppo piccolo per guadagnare, troppo grande per fare storie. Eravamo a San Giuliano Mare, davanti ad una Tv in bianco e nero. Non ricordo il periodo della giornata ma credo fosse di sera. Ingrid, la bionda teutonica di 9 anni, scendeva le scale dell’albergo con uno slip rosso fuoco, la chiamai, non mi rese lo sguardo. Ovvero mi oltrepassò. Sapeva che ero una preda ambita; Linda, una cagliaritana trapiantata in Via Madonna della Scala, mi aveva già baciato sulle labbra e tutti ne erano venuti a conoscenza. Vedevo Linda dall’altra parte della via e lei mi osservava quando giocavo a pallone con il numero 10 sulle spalle, quello di Rivera, per capirci, il mio idolo di allora, bandiera del Milan e eroe discusso della Nazionale di Valcareggi, il mister della sfida dell’Atzeca.

Linda è stato il mio primo amore, mai consumato naturalmente. All’epoca non capivo niente di sesso, ero un ragazzino esuberante, con il pepe addosso. Nulla più. Per fare ingelosire la bambina di “Cagliari vecchia”, restavo ore a guardare Ingrid negli occhi azzurri, e giocavamo a chi prima distogliesse lo sguardo. Nel porto magico sembravamo due adulti, ma con i sogni tiepidi e appena sbocciati dei bambini. In realtà amavo Ingrid, forse più di Linda, ma sapevo che la Germania era lontana e avevo paura di perderla. Berlino a quell’epoca era una città lunare, strampalata, la divideva un muro alto, e io percepivo l’odio tra le razze. C’era Gerd Müller, con i puntini sopra la u (la dieresi) che, secondo uno studio di David Myers, psicologo all’Hope College di Holland (Michigan, Usa) sembrerebbero influenzare l’umore e, alla fine, anche il carattere. Lo studioso cita come esempio, appunto i tedeschi, ritenuti comunemente privi di humor. I due puntini sopra la vocale inclinano verso il basso le labbra facendo assumere al volto un’espressione triste. L’uso frequente di muscoli che il cervello associa alla tristezza influenzerebbe negativamente l’umore. In quel 17 di giugno del 1970 Müller rese mesta l’Italia con due goal di rapina pura. Di magia. Era moro il centravanti tedesco, un campione alla Paolo Rossi, un autentico rapace dell’area di rigore. Ma Rivera, quando ormai anche i volatili erano asfissiati e volevano ritornare in volo, consegnò alla leggenda Italia Germania.

Ingrid da quel momento non mi ha più cercato. Io avevo il numero telefonico 434343, combinazione, e pensai, con la dabbenaggine dei bambini, che quelle cifre le ricordassero la disfatta. Il suo profumo di ragazza acerba, Coppertone protezione 10, il doposole al limone, fecero di lei una bambina speciale. Adesso la immagino divorziata dal marito, che fuma Winston blu nel cielo libero e terso di Berlino.

La Germania è mutata ora, nella nazionale dei mondiali di Sudafrica è la squadra più giovane, nelle sue fila militano ragazzi, tra cui qualche turco, ormai radicati nel tessuto del Paese non più diviso, forse non hanno più paura dei giocatori italiani, quelli con la baionetta tra i denti e il coraggio nello sguardo.

Nel mondiale spagnolo dell’82, ci fu ancora lo scontro con i panzer, e i bianconeri persero ancora. Con Pertini in tribuna, tormentato dai ricordi della guerra, Presidente tifoso che sorridendo esclamò al goal di Alessandro “Spillo” Altobelli: “Non ci prendono più!”

Ve la ricordate? Era la partita del famoso ”Urlo di Tardelli”. Goal, goal, goal!!! Tante sfide da allora sono passate sotto i nostri vecchi ponti, la Germania è la nostra squadra porta fortuna, la battiamo sempre. Ingrid, che fuma sui tetti di Berlino libera, si è portata via anche il ricordo della dolce mora di Cagliari, che giocava con il cavallo nei Giardinetti del Borgo San Giuliano. La stavo a spiare dalla finestra della camera, guatavo il suo sorriso.

Mi ha scritto per un paio di anni, con i fumetti di Walt Disney nella busta in ceralacca, ma non l’ho rivista più. L’aspetto ancora nello scoglio che ho chiamato “Ingrid”, nella nuova Darsena, e so che, per la gara dell’Italia, tornerà per ridere felice ancora, come faceva in un tempo ormai lontano.

Sarà con me per la finale dei mondiali in Sudafrica che spero sia Italia Germania ancora una volta.

Ettore Bonato

1 commento:

  1. Caro Ettore,
    quello che è stato non torna più, visto che batosta l' Italia, altro che finale.
    Sai che anch' io ho parlato della tristezza dei tedeschi dovuta alla dieresi ( secondo te può essere vero?).
    Quello che racconti, sulla tua infanzia è solare, parla di un ragazzino felice di vivere, forse è questo che fa male ...amare troppo la vita.
    Ettore, la sensibilità è bella e ricca ma fa tanto soffrire,perchè si entra nelle cose, nei fatti e si analizza tutto quanto e non serve estraniarsi, perchè ciò che sembra non farti male sul momento verrà fuori all' improvviso dopo... a me a volte dicono che fisso le persone, io ci rimango male, ma è vero, le fisso per vedere, per andare oltre l' apparenza e a dire la verità neanche so cosa cerco...
    Ciao Ettore, meglio stordirsi nella notte rosa, gli effetti sono come la dieresi per i tedeschi,può capitare di divertirsi veramente.

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