A San Mauro
Pascoli c’è un mio dottore. È un paesino del nord della Romagna, raggiungibile
sia da San Vito, sia da Savignano, perciò irraggiungibile dai satellitari nel
telefonino, più svegli dei PC, ma più lenti dei navigatori specifici per
l’auto. Se non stai attento rischi di piombare in una via anonima e omonima di
Savignano, cittadone verso l’interno. San Mauro invece è proiettato verso
l’Adriatico, il nostro mare.
Di sera ho
girato per due ore, poi due donne mi hanno indicato la via. Il loro modo di
fare non era arrogante, il tono di voce non sembrava scontroso. Sbagliai
strada, e loro mi dissero no, non lì, da quella parte, è più complicata da
percorrere ma dopo è tutto più semplice. Se me lo dicono così ci credo.
San Mauro
Pascoli non lo trovo, ancora oggi, stamattina, in pieno giorno, mi sono perso.
Ma tre abitanti della zona, forse pensionati, contadini nel significato più
alto del termine, si sono sperticati in consigli, sorrisi, usando parole non
ricercate ma vere, come il vino rosso della zona.
Quando andrò
in pensione forse finirò per abitare lì, in quella cittadina con il centro
minuscolo ma carino, con quel bar con il nome francese tenuto da due romagnole
placide, ruspanti, sempre pieno di avventori che pendono dalle loro labbra prive
di malizia. Alle volte si cerca la gentilezza lontano, che so, a Cisternino in
Puglia, nel Gargano, nel Salento, ma lì gli abitanti, alle prese con il
turismo, hanno perso i modi aggraziati, forse perché stufi di “stranieri”. In
effetti anche Rimini sta perdendo pian piano la grazia descritta in Amarcord, e
allora si vira a San Mauro Pascoli, paese tranquillo e gioviale, non ancora
intaccato dal caos del traffico e dal consumismo ormai dilagante. “Quando
andremo in pensione, verremo ad abitare qui”, insiste con dolcezza la mia metà,
“Sì, ma quando andremo in pensione?” Visti i tempi, mai. Vorrà dire che qui, dove si
respira ancora aria di poesia, ci verrò più spesso.
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